martedì, agosto 05, 2008
_chi si ricorda di Gavrilo Princip?
lunedì, agosto 04, 2008
_l'odio tollerante di sarajevo
Stimolato dalle attente riflessioni di cicciosax a commento del mio post precedente, vorrei provare ad inaugurare un dibattito sulla reale natura del multiculturalismo della Sarajevo pre-bellica (aspetto dunque anche altre opinioni in merito).
"La Bosnia è una terra meravigliosa e appassionante, una terra fuori dal comune, per configurazione naturale e per i suoi abitanti. Come il sottosuolo della Bosnia nasconde grandi ricchezze naturali, così l'uomo bosniaco cela senza dubbio in sé grandi qualità morali, più rare che negli abitanti delle altre terre jugoslave. Ma, vedi, c'è qualcosa che la gente della Bosnia, perlomeno quelli della tua specie, dovrebbero riconoscere e non perdere mai di vista: la Bosnia è terra d'odio e di paura. [...] Da voi gli asceti non scoprono l'amore nella propria ascesi, bensì l'odio per i lussuriosi; i sobri odiano coloro che bevono, e in questi ultimi trovi un odio assassino verso il mondo intero. Quelli che professano una fede odiano a morte coloro che non la professano o ne professano una diversa; quelli che amano, odiano coloro che amano altro. [...] Voi siete, in maggioranza, abituati a coltivare tutta la forza dell'odio per ciò che più vi è vicino. Ciò che per voi è sacro, si trova a miglia e miglia di distanza, dentro a fiumi e montagne, mentre ciò che forma l'oggetto del vostro odio e della vostra ripugnanza e proprio lì accanto a voi, nella stessa cittadina, spesso a pochi metri dal muro del vostro cortile. Così il vostro amore non esige molti fatti, mentre il vostro odio passa ai fatti molto facilmente. Anche la terra che vi ha dato i natali, voi l'amate ardentemente, ma in tre-quattro modi diversi che si escludono a vicenda, si odiano a morte e spesso si scontrano".
"una certa gentilezza falsa e conformista, la tendenza ad ingannare se stessi e gli altri con frasi pompose, o vuoti cerimoniali, contraddistinguono da sempre i circoli della borghesia bosniaca. tutto ciò dissimula alla bell'e meglio l'odio, ma non lo sradica.ho paura che in quei circoli possano sonnecchiare antichi istinti e progetti fratricidi e che essi coveranno sotto la cenere sino a quando non verranno intereamente rifatte le fondamenta della vita materiale e spirituale in Bosnia".
"Questa è la Bosnia. Tre diverse opinioni sulla stessa cosa, opinioni diverse, sulle quali non è possibile mettersi d'accordo, e che tuttavia sei costretto ad osservare sorseggiando il caffé. Il buon caffé bosniaco, questa calda, nera bevanda assicura la salvezza di questa repubblica. Non voglio neanche pensare a quando non sarà più possibile prendere assieme il caffé"
_13 anni fa l'Operazione Tempesta
Per capire bene le trasformazioni dei "balkan scapes" dopo le guerre, bisogna guardare alle trasformazioni demografiche e alle nuove geografie umane causate o imposte dagli eventi bellici: così Sarajevo, da città multietnica e multiculturale, dopo quattro anni di assedio ad opera delle milizie serbe, è oggi abitata quasi esclusivamente da bosniaci, mentre serbi, croati, ebrei sono quasi tutti scappati via; Mostar, da città "laboratorio-sociale", con il più alto tasso di matrimoni misti e di cittadini che si dichiaravano jugoslavi (per sfuggire alle logiche etniche o perché nati da coppie "miste"), ora è divisa (letteralmente) tra croati e bosniaci; Banja Luka, sede del pashaluk bosniaco durante la dominazione ottomana, con le sue bellissime moschee, tutte distrutte nel periodo 1992-1995 (compresa l'antichissima moschea Ferhandia, XV sec, già patrimonio Unesco), è ora abitata esclusivamente da serbi; Srebrenica è diventata il simbolo delle strategie di pulizia etnica dei nazionalisti serbi e, da cittadina a maggioranza musulmana, si è trasformata in una città a maggioranza serba.
Le terribili vicende di diaspora e pulizia etnica sono "leggibili" nei paesaggi urbani di queste città, ed è per questo che ritengo utile e interessante studiare le città, perché esse ci parlano di chi ci vive, ci parlano delle trasformazioni delle identità di questi popoli: le nuove "forme urbane" di queste città sono specchio delle nuove identità.
Sarajevo, il cui carattere multiculturale si manifesta anche nella struttura urbanistica, o nel fatto, per esempio, che nel raggio di neanche 500 metri si alternano chiese cattoliche, chiese ortodosse, sinagoghe, moschee, chiese evangeliste (già, anche chiese evangeliste), sta assumendo sempre più, attraverso l'edificazione di gigantesche moschee o attraverso interventi di ricostruzione "mirata", i caratteri di una capitale musulmana; a Mostar, dei serbi (che, sembra, se ne sono andati a seguito di accordi sottobanco tra esercito serbo e milizie croate), non restano neanche le tracce materiali (la grande cattedrale ortodossa è stata letteralmente rasa al suolo e restano solo poche macerie), mentre le divisioni etniche della città prendono forma nella gara in altezza tra minareti e campanili cattolici, che non si alternano in un regime di compresenza e tolleranza, come nella sarajevo prebellica, ma che diventano anzi dispositivi spaziali di marcatura del territorio; si è già detto delle moschee di Banja Luka e del tentativo di costruire una identità storica della città che sia esclusivamente serba e ortodossa, cancellando secoli di storia e di convivenza tra religioni diverse; si potrebbe scrivere a lungo di Srbrenica, del suo memoriale, che non parla a nessuno, o meglio, forse parla meno dello scheletro del palazzo energoinvest bruciato durante la guerra e che è ancora lì, o della scritta "ratko" che, mi raccontava un mio amico, fa ancora nella mostra di sé e nessuno ha avuto la forza di andare a cancellare.
Ma orientarsi nei labirinti delle memorie balcaniche non è per nulla facile, e qualunque bussola scegli, prima o poi ti porterà in una direzione sbagliata.
Cade oggi l'anniversario della cosiddetta Operazione Tempesta, offensiva militare condotta dalle milizie croate contro i serbi della Krajina, della Banija, della Lika, della Dalmazia del nord. A seguito di questa offensiva, il 5 agosto l'esercito croato occupa la città di Knin e inizia la pulizia etnica dei croati a danno dei serbi.
Il vecchio nome di Knin, quando era sotto il controllo di Venezia, era Tenin; ci visse a lungo anche una minoranza italiana. Dopo la seconda guerra mondiale, la città entrò a far parte del cosiddetto regno indipendente di Croazia, nonostante i numerosi serbi della regione avessero chiesto l'annessione alla Dalmazia italiana, preferita allo stato nazionalista croato. Furono anni di "prove tecniche di odio interetnico" tra croati e serbi (la cui eredità arriverà sino ai '90), con i massacri reciproci di civili serbi da parte di ustascia e civili croati da parte di cetnici.
Sotto la Jugoslavia di Tito, la città entrò a far parte della Repubblica federale di Croazia, ma con una fortissima maggioranza di residenti serbi. Dopo la secessione croata del '91, i serbi della Krajina dichiararono la loro indipendenza dalla neonata repubblica croata e proclamarono la Regione Autonoma Serba della Krajina, con capitale a Knin. Era da Knin che partivano gli attacchi serbi alle coste croate.
Con la caduta della Repubblica della Krajina nel 1995, i croati entrarono a Knin e iniziarono una violentissima campagna di pulizia etnica a danno dei serbi. Si calcola che il numero dei serbi uccisi o dispersi durante l'operazione sia di 1900 civili.
Il 5 agosto, in Croazia, è festa nazionale. Si celebrano le forze armate.