giovedì, maggio 29, 2008

_mostar!

sono a Mostar da ieri! scrivero' qualcosa non appena trovero' il tempo...

domenica, maggio 25, 2008

_ilidza

Piccola premessa a questo post: prima di arrivare a Sarajevo mi sono, ovviamente, preparato un po' e ho letto qualcosa sulla città: il libro di Karahasan, "Esilio di una città", un must per chiunque si sia messo in testa di studiare questa città, ma anche un'analisi lucida e intrisa di poesia che mette bene in evidenza il "sistema di frontiere culturali" presenti a Sarajevo; il documentatissimo e accurato "Sarajevo: a Biography", di Richard Dona, altra pietra miliare di ogni bibliografia completa sull'argomento, e alcuni altri. Tra le altre cose, mi è capitato tra le mani l'eccellente saggio di Laura Cipollini contenuto in una recente uscita editoriale di Bruno Mondadori, Città e memoria, in cui si prova a fare ciò che sto provando a fare anch'io, ovvero tracciare delle specie di "mappe della memoria" a partire dai percorsi, dagli attraversamenti, della città, a partire dai suoi "usi" e dai differenti modi di viverla, ma a partire anche dai tanti "discorsi" su di essa. Il saggio della Cipollini è stato una delle mie "guide" per i miei personali attraversamenti di questa città, anche perché, come ho detto, la prospettiva da cui l'autrice guarda il paesaggio urbano di Sarajevo è molto vicina a quella che sto provando ad adottare io. Il paragrafo finale del saggio, intitolato "Il caso Ilidza", tratta di questa parte della città, durante il periodo austro-ungarico stazione termale molto frequentata dagli austriaci, nonché luogo di scampagnate e pic-nic vari per i sarajevesi in cerca di aria pulita e di verde (in città non ce n'è molto). L'autrice conclude il paragrafo affermando che secondo lei, dopo la guerra (durante l'assedio questa parte era in mano ai serbi) qualcosa si è rotto nella catena semantica che collega Ilidza alla città vera e propria, ed essa non è più così frequentata dai sarajevesi.
Sono andato oggi, una soleggiata domenica mattina, ed ero già andato il primo maggio (la festa del lavoro, qui, cade il primo e il secondo di maggio, e come da noi, si va "fuori porta" in cerca di verde e aria pulita). ebbene, la mia impressione è che Ilidza costituisca ancora, per i Sarajevesi, una parte importante della città, e che il suo significato non sia mutato più di tanto dopo la guerra. certo, anche qui sono presenti segni di guerra e rovine varie, ma i parchi sono affollati di ragazzi che giocano a pallone, i viali di coppie che passeggiano, i bar di famiglie e
gruppi di amici che parlano e ridono... insomma, questa "rottura della catena semantica" non l'ho vista, né l'hanno vista le persone che ho intervistato e con cui ho parlato, che considerano ancora Ilidza il posto, per eccellenza, delle scampagnate domenicali.
questa cosa vale in generale, secondo me, per molte altre parti della città, di cui i sarajevesi si sono riappropriati tentando, con alterni successi, di riattribuire ai diversi luoghi gli stessi significati che essi avevano prima della guerra. basti pensare al professore di filosofia che ho intervistato l'altro giorno, che mi ha detto di vivere in uno dei palazzoni di Grbavica in cui durante l'assedio si erano piazzati i cecchini serbi, e la cosa non gli fa nessuna particolare impressione, al massimo pensa al fatto che sia lui che il cecchino prima di lui hanno condiviso la stessa bella vista sulla città...
il caso Ilidza, insomma, è esemplificativo di una strategia complessiva che sembra accomunare, direi (ma non me la sento di generalizzare), la gran parte dei sarajevesi, ovvero quella di riallacciare le catene semantiche interrotte, di rimuovere il ricordo della guerra. Per molte delle persone con cui ho parlato è quasi come se la guerra, qui, non ci fosse mai stata, o meglio, in un senso più difficile da spiegare, come se non fosse mai finita (su questo ci tornerò, ma intanto leggetevi il post sul monte trebevic per una prima anticipazione).
se c'è un posto che la guerra ha tagliato fuori da sarajevo, e che prima costituiva invece una parte importante della città (come nota intelligentemente anche Laura Cipollini), quello è proprio il monte trebevic, anche quello, prima della guerra luogo di scampagnate e feste, sede delle olimpiadi invernali, collegato alla carsia attraverso una funicolare distrutta dalle granate nel periodo dell'assedio; adesso nessuno ci va; sì, ok, non c'è più la comoda funicolare... è vero, in alcune zone ci sono pure le mine... ma non è solo questo. La gente di qui, il monte Trebevic a volte ha paura pure solo a guardarlo, è come sparito dalla percezione dei cittadini, nonostante non possa mai sottrarsi allo sguardo di chi passeggia in centro lungo il fiume, ad esempio...

sabato, maggio 24, 2008

_sarajevo città divisa


ieri sono andato a visitare Sarajevo Est, istocno Sarajevo, ovvero la parte della città assegnata dagli accordi di Dayton alla repubblica Srpska. Sarajevo è, infatti, una città, dal punto di vista amministrativo, divisa, ed una parte di quello che una volta era territorio cantonale si trova al di fuori della federazione. Nessun confine vero, nessuna frontiera, nessun posto di blocco: si prende un autobus sino a Dobrjinja, la periferia est della città, verso l'aeroporto, si scende al capolinea, si fa qualche metro a piedi, si attraversa un'anonima rotonda di periferia, e si è in repubblica serba, dall'altra parte della barricata.
si tratta, è vero, di una divisione amministrativa, di un contentino dato ai serbi che miravano a dividere la città e prendersene una più grossa fetta, ma è più che evidente, anche dopo una superficiale osservazione delle dinamiche urbane che riguardano questa parte della città (che sino a qualche anno fa si chiamava ufficialmente Srpsko Sarajevo, ma a cui è stato imposto di cambiare il nome con un appellativo più neutro), che non è solo un problema amministrativo.
Non c'è nessun confine visibile, dicevo, ma ci sono comunque tanti indizi che rendono evidente che si sta attraversando un confine di qualche tipo. Ad esempio: la presenza massiccia del cirillico, assente nel resto della città se non in alcuni edifici pubblici dove è obbligatoria la doppia grafia; le differenti tabelle che indicano i nomi delle vie: in blu (come in serbia) e non in verde, con nomi tipicamente serbi (vojvode putnika ecc) e in cirill; niente minareti ma solo una grande chiesa ortodossa. L'aspetto è quello di una normale periferia, molto terrain vague, e tale è nella percezione dei sarajevesi, che non la considerano neanche città, ma già campagna. 
Non è lo stesso per i serbi che vivono qui, che considerano questa parte periferica della città un centro urbano vero e proprio, dal quale escono raramente se non costretti. C'è tutto: le bancarelle lungo la strada (ed è strano, perché si trovano su un vialone di periferia e, significativamente, spariscono nella parte della strada che appartiene alla federazione), gente che passeggia e fa shopping, un centro commerciale, negozi e ristoranti, persino un'università e, come ho già detto, la chiesa. 
questa anonima rotonda di periferia racchiude tutte le contraddizioni, le follie e le precarietà degli equilibri politici, sociali, istituzionali, di questo paese.

mercoledì, maggio 21, 2008

_piccola provocazione

e' una provocazione (come annunciato), ma queste nuove gigantesche moschee (vedi post precedente) non possono non richiamare alla mente l'enorme cattedrale belgradese di Svetog Save, che, quando sara' completata (chissa' quando), acquisira' l'invidiabile primato di chiesa ortodossa piu' grande del mondo.
lo so, sono vicende completamente diverse, ma l'enfasi che e' stata posta nel completamento della cattedrale, che e' diventata un po' il simbolo di Belgrado (e che possiamo ammirare in una splendida foto tratta da wikipedia, scusate ma non avevo tempo di ridimensionare le mie, lo faro'...), richiama un po' la retorica architettonica delle nuove moschee.
per riassumere un po' la tribolata vicenda di San Sava, l'attuale tempio sorge ove, nel '500, sorgeva una chiesa ortodossa distrutta durante l'invasione ottomana. i lavori iniziarono a fine '800, ma furono interrotti piu' volte a causa delle guerre balcaniche di inizio novecento e della seconda guerra mondiale. durante il periodo di Tito, ovviamente, tutte le proposte di riprendere i lavori furono lasciate cadere nel vuoto, e l'area, per molti anni, e' stata adibita a deposito/parcheggio. Dal 1989 i lavori sono reiniziati in pompa magna, tra cerimonie di consacrazione e messe varie.

_articolo sulle nuove moschee bosniache

a conferma del post sulle nuove architetture del sacro a sarajevo, ho trovato, su osservatorio balcani, un'intervista alla storica Amra Hadzimuhamedovic.

_errata corrige

ieri avevo scritto dei restauri della moschea di Gazi Husrev, attribuendo - come molti prima di me - i risultati dell'intervento di rimozine delle decorazioni alla volonta' dei finanziatori wahabiti.
ebbene, non c'e' stato nessun finanziatore wahabita! oggi ho parlato con un funzionario dell'istituto per la protezione dei beni culturali del cantone sarajevo che mi ha spiegato come in realta' i lavori di restauro sono stati condotti da un team internazionale (con esperti anche italiani), che hanno optato per la scelta di un restauro di "ripristino" estremo.
sono in attesa di informazioni certe - perche' su questi restauri e' stato scritto di tutto e non e' del tutto chiaro come sono andate le cose - ma in ogni caso sembra che l'idea del primo intervento era quella di riportare l'opera ad un presunto "stato originario", rimuovendo i vari strati che si erano accumulati nei secoli. un po' quello che e' successo, ad esempio, per il restauro della cappella del santo sepolcro di santo stefano a bologna (cito questo esempio perche' ho studiato un po' i restauri di questa chiesa), nel corso del quale sono state rimosse tutti gli affreschi, decorazioni e offerte votive che riempivano la sala, riportandola a quello che si pensava fosse l'originario aspetto romanico. su quanto interventi del genere siano opportuni - sul fatto, ad esempio, che non esiste uno "strato" originario, sul fatto che ogni intervento di restauro e' sempre un'interpretazione e sul fatto che un buon intervento dovrebbe riuscire a preservare tutte le fasi storiche che consentono una buona "leggibilita'" dell'opera - non voglio soffermarmi in questa sede, voglio approfondire pero' i moventi culturali e ideologici che hanno portato a scegliere per un'opzione cosi' radicale di restauro. seguirano aggiornamenti...

martedì, maggio 20, 2008

_a proposito di croci e mezzelune


chi viene a Sarajevo in aereo non potra' fare a meno di notare, nel tragitto in taxi dall'aeroporto alla citta', un'enorme moschea, di stile moderno, che svetta sgomitando tra i palazzoni stile funzional-socialista di novo sarajevo. si tratta della moschea di Re Fahd, costruita nel 1997 con soldi provenienti dall'Arabia Saudita (vedi foto, la seconda non è mia).
proseguendo la sua corsa in taxi, il nostro visitatore incontrera' altri esempi di enormi moschee monumentali, gigantesche, poste su alture o su ampi slarghi, con due, tre, quattro minareti... quando raggiungera' il centro della citta', la baščaršia, il nostro visitatore straniero, i cui occhi si saranno gia' abituati a questi monumentali esempi di moschee di periferia, si aspettera' degli edifici religiosi altrettanto monumentali anche nel tessuto urbano della citta' storica.
ebbene, restera' deluso: le moschee della citta' storica, quelle piu' antiche, devono essere scovate, cercate con attenzione passeggiando per le strette stradine del quartiere ottomano. per trovarle bisogna sollevare la testa alla ricerca degli snelli ed eleganti minareti (mai piu' di uno per moschea) che ne segnalano la presenza, o aspettare il canto del muezzin (nelle moschee piu' antiche non si usa amplificarlo con altoparlanti, quindi bisogna stare molto attenti) per orientarsi nel dedalo di viuzze.
Le moschee tradizionali di Sarajevo sono cosi', discrete, senza sfarzi, si inseriscono mimetizzandosi tra le eterogenee architetture religiose della citta' (cattedrali cattoliche, chiese ortodosse, templi giudaici, chiese evangeliste). Discrete, come discreto e' il senso di appartenenza religiosa dei musulmani di Sarajevo, solitamente lontano da fanatismi e integralismi.
Dalla fine della guerra, in Bosnia sono state costruite centinaia di moschee, molte a Sarajevo. Da uan parte, l'alto numero di nuove costruzioni ha cercato di compensare le tantissime distruzioni (a Banja Luka pressocche' tutte le moschee sono state rase al suolo, ma lo stesso tragico destino, nel resto della Bosnia, e' toccato a chiese cattoliche e ortodosse e sinagoghe); dall'altra parte, il motivo di tante ricostruzioni risiede nei vari interessi relativi alle ricostruzioni post-belliche: interessi non solo economici ma anche, in questo caso, di "colonizzazione culturale": e' il caso di tanti paesi arabi che hanno finanziato la costruzione di nuove moschee, "infiltrando" imam provenienti dai quei paesi, e che predicano un islamismo radicale estraneo ai valori di questa citta'.
parlando di restauri, che dire del restauro, finanziato da alcuni religiosi sauditi, della moschea Gazi Husrev - costruita nel 1531 e considerata uno dei piu bei esempi di architettura ottomana del mondo - che, in ottemperanza ai dettami del wahabismo, ha spogliato gli interni della moschea di tutte le ricche decorazioni?
prima del restauro
dopo i restauri "jugoslavi", prima, e sponsorizzati dai wahabiti, subito dopo la guerra

per fortuna la citta' ha conservato, nonostante il mutato clima, un grande spirito di tolleranza e di laicismo e, soprattutto, un grande senso di ironia (le battute su queste nuove moschee in citta' si sprecano). gli stessi religiosi della moschea hanno avviato qualche anno fa altri lavori di restauro per ridare alla chiesa l'aspetto originale

sabato, maggio 17, 2008

_una croce ortodossa sul monte trebevic?

In questi giorni, a Sarajevo, fa molto discutere la proposta lanciata dall'associazione serba dei prigionieri di guerra di edificare un monumento alla memoria dei serbi uccisi dai musulmani. Il memoriale avrebbe la forma di un'enorme croce (alta 26 metri e larga 18) e dovrebbe sorgere sul monte Trebevic, una delle postazioni da cui l'artiglieria serba prendeva di mira la città negli anni dell'assedio.
Il primo ministro della Republika Srpska, Milorad Dokic, si è dichiarato disponibile a sostenere economicamente il progetto, che ha invece incontrato le rimostranze dell'associazione delle vittime di guerra e del sindaco di Sarajevo, secondo cui la proposta costituirebbe un insulto alle migliaia di vittime bosniache del conflitto.
Il monte Trebevic è uno dei punti per cui passa la linea di frontiera che divide le due entità che formano la BiH: la Republika Srpska e la Federazione Croato-Bosniaca, e pur trovandosi in territorio "serbo" (le virgolette sono quanto mai d'obbligo), la croce sarebbe visibile pressocché da ogni parte della capitale (tanto è vero che da quel monte i nazionalisti serbi potevano colpire quasi qualunque punto della città).
L'altro giorno una ragazza mi spiegava come quindici anni fa in bosnia si sparava coi fucili, e come adesso si continua a sparare, con le parole. Dal monte Trebevic non cadono più granate, ma ci sono tanti modi per ferire la popolazione di una città che ha sofferto tanto...
(nella foto, il monte Trebevic, visto da Sarajevo)

venerdì, maggio 16, 2008

_ci citano!

a parte la citazione, leggetevi questo articolo sul ponte di mostar, e' piuttosto interessante.

mercoledì, maggio 14, 2008

_survival map

come orientarsi in una città assediata?

_il più bel monumento alle vittime della guerra

nota: l'iscrizione forse è illeggibile nella foto, dice, in inglese, francese, tedesco e serbo-bosniaco-croato, "sotto questa pietra c'è un monumento alle vittime della guerra e della guerra fredda"

martedì, maggio 13, 2008

_alcune foto

La biblioteca nazionale (Vijecnjca), distrutta dall'artiglieria serba nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1992.

Il palazzo del parlamento. Il grattacielo è stato restaurato, rispettandone il disegno originale ma modificandone l'aspetto attraverso il ricorso a materiali tipici dell'architettura post-moderna, come superfici trasparenti (una scelta che accomuna tutti i restauri dell'area che va da Marijndvor all'aeroporto).

UNIS tower, un altro simbolo dell'assedio di Sarajevo (anche loro ricostruite).

_primo post da sarajevo (primo post vero...)



lo so, ultimamente ho latitato un po' troppo, ma non ho una connessione nella casa dove vivo (nella mahala di Pofalici) e devo sfruttare al massimo i pochi minuti al giorno in cui posso disporre di una connessione internet.
adesso ho voglia, però, di buttare giù alcune prime, frammentarie, osservazioni su questa splendida città.
la prima considerazione riguarda, ovviamente, e non potrebbe essere altrimenti, dato l'argomento del blog, i "segni di guerra" ancora tristemente presenti in tutto il tessuto della città. se a belgrado la presenza delle rovine prodotte dalle bombe del '99 poteva generare questo effetto, come l'avevo definito, "perturbante", dovuto alla lacerazione (puntuale) del tessuto urbano, a sarajevo la diffusione di tracce dell'assedio del '92-'95 (solo per capire e ricordare: 10000 morti circa, di cui più di 3000 bambini) è così pervasiva da costituire quasi un arredo ineliminabile dall'ambiente cittadino.
una seconda considerazione riguarda invece le ricostruzionie i restauri: svariati e importanti interventi hanno avuto luogo negli ultimi anni, e la prima sensazione è che si sia seguita una doppia strategia: per quanto riguarda il centro storico, ripristini e restauri stilistici; per quanto riguarda la primissima periferia, quella collegata dall'asse che va da Marjindovor (alla fine della carsia, il centro della città) a Novo sarajevo, (asse tristemente famoso per essere stato ribatezzato, durante la guerra, sniper alley, viale dei cecchini), ricostruzioni (alcune anche "fedeli", vedi il caso delle torri gemelle Unis, altro simbolo della città durante la guerra) che stanno portando ad una totale riconfigurazione dell'aspetto della città.
maggiori dettagli nei prossimi post, intanto vi annuncio una serie di post fotografici...