domenica, maggio 25, 2008

_ilidza

Piccola premessa a questo post: prima di arrivare a Sarajevo mi sono, ovviamente, preparato un po' e ho letto qualcosa sulla città: il libro di Karahasan, "Esilio di una città", un must per chiunque si sia messo in testa di studiare questa città, ma anche un'analisi lucida e intrisa di poesia che mette bene in evidenza il "sistema di frontiere culturali" presenti a Sarajevo; il documentatissimo e accurato "Sarajevo: a Biography", di Richard Dona, altra pietra miliare di ogni bibliografia completa sull'argomento, e alcuni altri. Tra le altre cose, mi è capitato tra le mani l'eccellente saggio di Laura Cipollini contenuto in una recente uscita editoriale di Bruno Mondadori, Città e memoria, in cui si prova a fare ciò che sto provando a fare anch'io, ovvero tracciare delle specie di "mappe della memoria" a partire dai percorsi, dagli attraversamenti, della città, a partire dai suoi "usi" e dai differenti modi di viverla, ma a partire anche dai tanti "discorsi" su di essa. Il saggio della Cipollini è stato una delle mie "guide" per i miei personali attraversamenti di questa città, anche perché, come ho detto, la prospettiva da cui l'autrice guarda il paesaggio urbano di Sarajevo è molto vicina a quella che sto provando ad adottare io. Il paragrafo finale del saggio, intitolato "Il caso Ilidza", tratta di questa parte della città, durante il periodo austro-ungarico stazione termale molto frequentata dagli austriaci, nonché luogo di scampagnate e pic-nic vari per i sarajevesi in cerca di aria pulita e di verde (in città non ce n'è molto). L'autrice conclude il paragrafo affermando che secondo lei, dopo la guerra (durante l'assedio questa parte era in mano ai serbi) qualcosa si è rotto nella catena semantica che collega Ilidza alla città vera e propria, ed essa non è più così frequentata dai sarajevesi.
Sono andato oggi, una soleggiata domenica mattina, ed ero già andato il primo maggio (la festa del lavoro, qui, cade il primo e il secondo di maggio, e come da noi, si va "fuori porta" in cerca di verde e aria pulita). ebbene, la mia impressione è che Ilidza costituisca ancora, per i Sarajevesi, una parte importante della città, e che il suo significato non sia mutato più di tanto dopo la guerra. certo, anche qui sono presenti segni di guerra e rovine varie, ma i parchi sono affollati di ragazzi che giocano a pallone, i viali di coppie che passeggiano, i bar di famiglie e
gruppi di amici che parlano e ridono... insomma, questa "rottura della catena semantica" non l'ho vista, né l'hanno vista le persone che ho intervistato e con cui ho parlato, che considerano ancora Ilidza il posto, per eccellenza, delle scampagnate domenicali.
questa cosa vale in generale, secondo me, per molte altre parti della città, di cui i sarajevesi si sono riappropriati tentando, con alterni successi, di riattribuire ai diversi luoghi gli stessi significati che essi avevano prima della guerra. basti pensare al professore di filosofia che ho intervistato l'altro giorno, che mi ha detto di vivere in uno dei palazzoni di Grbavica in cui durante l'assedio si erano piazzati i cecchini serbi, e la cosa non gli fa nessuna particolare impressione, al massimo pensa al fatto che sia lui che il cecchino prima di lui hanno condiviso la stessa bella vista sulla città...
il caso Ilidza, insomma, è esemplificativo di una strategia complessiva che sembra accomunare, direi (ma non me la sento di generalizzare), la gran parte dei sarajevesi, ovvero quella di riallacciare le catene semantiche interrotte, di rimuovere il ricordo della guerra. Per molte delle persone con cui ho parlato è quasi come se la guerra, qui, non ci fosse mai stata, o meglio, in un senso più difficile da spiegare, come se non fosse mai finita (su questo ci tornerò, ma intanto leggetevi il post sul monte trebevic per una prima anticipazione).
se c'è un posto che la guerra ha tagliato fuori da sarajevo, e che prima costituiva invece una parte importante della città (come nota intelligentemente anche Laura Cipollini), quello è proprio il monte trebevic, anche quello, prima della guerra luogo di scampagnate e feste, sede delle olimpiadi invernali, collegato alla carsia attraverso una funicolare distrutta dalle granate nel periodo dell'assedio; adesso nessuno ci va; sì, ok, non c'è più la comoda funicolare... è vero, in alcune zone ci sono pure le mine... ma non è solo questo. La gente di qui, il monte Trebevic a volte ha paura pure solo a guardarlo, è come sparito dalla percezione dei cittadini, nonostante non possa mai sottrarsi allo sguardo di chi passeggia in centro lungo il fiume, ad esempio...

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