sabato, novembre 22, 2008
_la vijecnica non sarà più una biblioteca
maggiori dettagli qui.
lunedì, novembre 17, 2008
_ljubljana again
domenica, novembre 09, 2008
_ricostruzione della torre della tv sul monte avala
martedì, ottobre 28, 2008
giovedì, ottobre 16, 2008
_rekonstrukcija vijećnice

a quanto pare, a Sarajevo, sono da poco iniziati i lavori di ricostruzione della Vijećnica, la splendida biblioteca nazionale che andò a fuoco nel 1992 sotto le granate serbe e che conteneva tesori di inestimabile valore, come i preziosissimi codici miniati portati in dono alla città dagli ebrei sefarditi in fuga dalla Spagna e accolti dai saraijlje. nella foto, è visibile una impalcatura in corso di montaggio.
mercoledì, ottobre 08, 2008
_convegno: luoghi e pratiche, 24-25 ottobre, Università di Bologna
domenica, ottobre 05, 2008
_OT, I muri di Baghdad
venerdì, settembre 26, 2008
_il violoncellista di sarajevo

venerdì, settembre 19, 2008
_segnalazione: blog
martedì, agosto 05, 2008
_chi si ricorda di Gavrilo Princip?
lunedì, agosto 04, 2008
_l'odio tollerante di sarajevo
Stimolato dalle attente riflessioni di cicciosax a commento del mio post precedente, vorrei provare ad inaugurare un dibattito sulla reale natura del multiculturalismo della Sarajevo pre-bellica (aspetto dunque anche altre opinioni in merito).
"La Bosnia è una terra meravigliosa e appassionante, una terra fuori dal comune, per configurazione naturale e per i suoi abitanti. Come il sottosuolo della Bosnia nasconde grandi ricchezze naturali, così l'uomo bosniaco cela senza dubbio in sé grandi qualità morali, più rare che negli abitanti delle altre terre jugoslave. Ma, vedi, c'è qualcosa che la gente della Bosnia, perlomeno quelli della tua specie, dovrebbero riconoscere e non perdere mai di vista: la Bosnia è terra d'odio e di paura. [...] Da voi gli asceti non scoprono l'amore nella propria ascesi, bensì l'odio per i lussuriosi; i sobri odiano coloro che bevono, e in questi ultimi trovi un odio assassino verso il mondo intero. Quelli che professano una fede odiano a morte coloro che non la professano o ne professano una diversa; quelli che amano, odiano coloro che amano altro. [...] Voi siete, in maggioranza, abituati a coltivare tutta la forza dell'odio per ciò che più vi è vicino. Ciò che per voi è sacro, si trova a miglia e miglia di distanza, dentro a fiumi e montagne, mentre ciò che forma l'oggetto del vostro odio e della vostra ripugnanza e proprio lì accanto a voi, nella stessa cittadina, spesso a pochi metri dal muro del vostro cortile. Così il vostro amore non esige molti fatti, mentre il vostro odio passa ai fatti molto facilmente. Anche la terra che vi ha dato i natali, voi l'amate ardentemente, ma in tre-quattro modi diversi che si escludono a vicenda, si odiano a morte e spesso si scontrano".
"una certa gentilezza falsa e conformista, la tendenza ad ingannare se stessi e gli altri con frasi pompose, o vuoti cerimoniali, contraddistinguono da sempre i circoli della borghesia bosniaca. tutto ciò dissimula alla bell'e meglio l'odio, ma non lo sradica.ho paura che in quei circoli possano sonnecchiare antichi istinti e progetti fratricidi e che essi coveranno sotto la cenere sino a quando non verranno intereamente rifatte le fondamenta della vita materiale e spirituale in Bosnia".
"Questa è la Bosnia. Tre diverse opinioni sulla stessa cosa, opinioni diverse, sulle quali non è possibile mettersi d'accordo, e che tuttavia sei costretto ad osservare sorseggiando il caffé. Il buon caffé bosniaco, questa calda, nera bevanda assicura la salvezza di questa repubblica. Non voglio neanche pensare a quando non sarà più possibile prendere assieme il caffé"
_13 anni fa l'Operazione Tempesta
Per capire bene le trasformazioni dei "balkan scapes" dopo le guerre, bisogna guardare alle trasformazioni demografiche e alle nuove geografie umane causate o imposte dagli eventi bellici: così Sarajevo, da città multietnica e multiculturale, dopo quattro anni di assedio ad opera delle milizie serbe, è oggi abitata quasi esclusivamente da bosniaci, mentre serbi, croati, ebrei sono quasi tutti scappati via; Mostar, da città "laboratorio-sociale", con il più alto tasso di matrimoni misti e di cittadini che si dichiaravano jugoslavi (per sfuggire alle logiche etniche o perché nati da coppie "miste"), ora è divisa (letteralmente) tra croati e bosniaci; Banja Luka, sede del pashaluk bosniaco durante la dominazione ottomana, con le sue bellissime moschee, tutte distrutte nel periodo 1992-1995 (compresa l'antichissima moschea Ferhandia, XV sec, già patrimonio Unesco), è ora abitata esclusivamente da serbi; Srebrenica è diventata il simbolo delle strategie di pulizia etnica dei nazionalisti serbi e, da cittadina a maggioranza musulmana, si è trasformata in una città a maggioranza serba.
Le terribili vicende di diaspora e pulizia etnica sono "leggibili" nei paesaggi urbani di queste città, ed è per questo che ritengo utile e interessante studiare le città, perché esse ci parlano di chi ci vive, ci parlano delle trasformazioni delle identità di questi popoli: le nuove "forme urbane" di queste città sono specchio delle nuove identità.
Sarajevo, il cui carattere multiculturale si manifesta anche nella struttura urbanistica, o nel fatto, per esempio, che nel raggio di neanche 500 metri si alternano chiese cattoliche, chiese ortodosse, sinagoghe, moschee, chiese evangeliste (già, anche chiese evangeliste), sta assumendo sempre più, attraverso l'edificazione di gigantesche moschee o attraverso interventi di ricostruzione "mirata", i caratteri di una capitale musulmana; a Mostar, dei serbi (che, sembra, se ne sono andati a seguito di accordi sottobanco tra esercito serbo e milizie croate), non restano neanche le tracce materiali (la grande cattedrale ortodossa è stata letteralmente rasa al suolo e restano solo poche macerie), mentre le divisioni etniche della città prendono forma nella gara in altezza tra minareti e campanili cattolici, che non si alternano in un regime di compresenza e tolleranza, come nella sarajevo prebellica, ma che diventano anzi dispositivi spaziali di marcatura del territorio; si è già detto delle moschee di Banja Luka e del tentativo di costruire una identità storica della città che sia esclusivamente serba e ortodossa, cancellando secoli di storia e di convivenza tra religioni diverse; si potrebbe scrivere a lungo di Srbrenica, del suo memoriale, che non parla a nessuno, o meglio, forse parla meno dello scheletro del palazzo energoinvest bruciato durante la guerra e che è ancora lì, o della scritta "ratko" che, mi raccontava un mio amico, fa ancora nella mostra di sé e nessuno ha avuto la forza di andare a cancellare.
Ma orientarsi nei labirinti delle memorie balcaniche non è per nulla facile, e qualunque bussola scegli, prima o poi ti porterà in una direzione sbagliata.
Cade oggi l'anniversario della cosiddetta Operazione Tempesta, offensiva militare condotta dalle milizie croate contro i serbi della Krajina, della Banija, della Lika, della Dalmazia del nord. A seguito di questa offensiva, il 5 agosto l'esercito croato occupa la città di Knin e inizia la pulizia etnica dei croati a danno dei serbi.
Il vecchio nome di Knin, quando era sotto il controllo di Venezia, era Tenin; ci visse a lungo anche una minoranza italiana. Dopo la seconda guerra mondiale, la città entrò a far parte del cosiddetto regno indipendente di Croazia, nonostante i numerosi serbi della regione avessero chiesto l'annessione alla Dalmazia italiana, preferita allo stato nazionalista croato. Furono anni di "prove tecniche di odio interetnico" tra croati e serbi (la cui eredità arriverà sino ai '90), con i massacri reciproci di civili serbi da parte di ustascia e civili croati da parte di cetnici.
Sotto la Jugoslavia di Tito, la città entrò a far parte della Repubblica federale di Croazia, ma con una fortissima maggioranza di residenti serbi. Dopo la secessione croata del '91, i serbi della Krajina dichiararono la loro indipendenza dalla neonata repubblica croata e proclamarono la Regione Autonoma Serba della Krajina, con capitale a Knin. Era da Knin che partivano gli attacchi serbi alle coste croate.
Con la caduta della Repubblica della Krajina nel 1995, i croati entrarono a Knin e iniziarono una violentissima campagna di pulizia etnica a danno dei serbi. Si calcola che il numero dei serbi uccisi o dispersi durante l'operazione sia di 1900 civili.
Il 5 agosto, in Croazia, è festa nazionale. Si celebrano le forze armate.
lunedì, luglio 28, 2008
_adriano sofri su karadzic
Le quattro vite di Karadzic macellaio della storia
di Adriano Sofri, da la Repubblica, 24/07/2008Radovan Karadzic era un buffone, la storia, maestra di morte, lo promosse a gran macellaio, ora, a distanza di tredici anni, la cronaca l´ha estratto da un pubblico esercizio di omeopatia da strapazzo e di saggezza orientale. Nel suo sito aveva raccolto, "personalmente", un decalogo di "proverbi cinesi", per esempio "Chi non è capace di accordarsi con i suoi nemici, finisce per esserne dominato", oppure "Non puoi impedire agli uccelli del dolore di volarti sulla testa, ma puoi impedire loro di farsi il nido nei tuoi capelli".
Il dottor Dragan Dabic, è il nome della terza vita di questo miserabile – prima vita da cialtrone, seconda da macellaio all´ingrosso, terza da cialtrone, della quarta stiamo per parlare – non andò lontano a trovarsi i suoi nemici: i vicini di casa, i colleghi di lavoro, la gente di tutti i giorni che lo conosceva e si raccontava le sue avventure boccaccesche, le sue vanità da bellimbusto e le sue poesie d´accatto. Nella seconda vita i riflettori e le telecamere e i flash cominciarono all´improvviso a svolazzare attorno al suo completo di grigio e forfora, e lui non smetteva di sobillare il ciuffo. Nella terza vita, appena interrotta, sulla sua capigliatura di guru e nella sua barba di profeta gli avvoltoi potevano fare il nido.
Il Novecento è il secolo che va da una Sarajevo all´altra. La lunga avventura di quest´uomo ridicolo che le circostanze della storia – la storia! – e complicità e viltà dei grandi della terra promossero al rango fitto dei grossi assassini del Novecento trapassa ora, quando finalmente viene portato su un banco di imputato, nella tentazione della mitizzazione e della minimizzazione. Lo si leggeva già in parecchi commenti del giorno dopo. Quando la malvagità e il sangue esondano, si vuole trovare ai piccoli uomini che l´occasione ha reso grossi assassini una qualche grandezza, un fascino "mefistofelico", una predestinazione.
Andatelo a dire a Sarajevo, ai suoi colleghi di lavoro, ai poeti e agli scrittori di cui quella città è così ricca, alle donne di Srebrenica, che c´era qualcosa di grande in quel grande criminale. E il grottesco impudente narcisismo dell´ultima puntata, il dottor Dabic che compariva nelle televisioni locali a spacciare pillole di valeriana e di sapienza orientale, anche questo suscita l´ammirata incredulità degli osservatori, che lo prendono come un gioco, il bel numero di un illusionista: premessa ai numeri ulteriori che il banco d´imputato all´Aja gli offrirà l´occasione di allestire, come già fin troppo al suo collega belgradese, Vojislav Seselj, a beneficio della propria vanità e dell´orgoglio serbo-bosniaco.
È difficile alle persone "estranee", anche quando una notizia viene accompagnata dall´apposita didascalia – «è responsabile dello sterminio di decine di migliaia di donne e uomini, dell´eccidio quotidiano perpetrato per tre anni dalle alture della sua città contro i concittadini chiusi nella valle come in un recinto di mattatoio, degli stupri di massa programmati per sfogare odio, foia e disprezzo e per impadronirsi del ventre delle donne del nemico, della strage genocida di tutti i maschi di una cittadina proclamata rifugio delle Nazioni Unite» – sentire davvero di che cosa si tratta. «Hanno preso uno di quelli che cercavano da tanto tempo, uno di quelli della ex Jugoslavia, aveva una barba, certi capelli, non sembrava davvero lui, accanto alle vecchie fotografie...». Qualche cronaca più esperta approfondisce la cosa: «Non aveva nemmeno l´accento bosniaco», figurarsi, il vecchio trombone montenegrino...
Non lo trovavano? Neanche un anno fa, il nostro Gigi Riva scriveva sull´Espresso: «Ha una fluente, lunghissima barba. Veste con la tunica dei monaci ortodossi. Talvolta porta dei sandali ai piedi». L´hanno trovato, bastava dare un´occhiata nei monasteri ortodossi, è bastato dare un´occhiata sull´autobus. Dunque i telegiornali hanno mandato le immagini di Belgrado, con qualche pattuglia di fascio-serbisti impegnati a tirar sassate e appiccare un paio di roghi per protestare contro l´arresto, e, simmetricamente, le immagini di Sarajevo, con i cortei di auto e clacson e i ragazzi seminudi a festeggiare come per una vittoria calcistica. Tutto doppio, tutto simmetrico: il Karadzic di ieri e quello di oggi, i manifestanti di Belgrado e quelli di Sarajevo, l´America che loda la cattura e la consegna all´Aja, la Russia che obietta e chiede la chiusura del tribunale dell´Aja – non si sa mai, dovesse venire il giorno della Cecenia.
Tutto doppio: la fotografia dell´Eichmann del 1942, "così giovane, un ragazzo", e quella, "così stempiata", dell´Eichmann del 1960. (Quattordici anni dopo Norimberga: Karadzic stava per battere il record, è ancora in corsa Mladic, il macellaio in divisa). Ce ne volle di tempo per cominciare a capire chi fosse, chi fosse stato, quell´Eichmann, e ci si scandalizzò quando nel resoconto del processo di Gerusalemme Hannah Arendt nominò la banalità del male. Di fronte alla pazzia furiosa e sanguinaria del 1992-1995, come accontentarsi del dottor Dragan Dabic? Lo si promuoverà – seduttore, diabolico – o lo si ridurrà alla curiosità quotidiana – come ha fatto a travestirsi in quel modo?... Eppure assistiamo ogni giorno allo spettacolo della piccineria e del ridicolo che conquista il potere – "una farsa", ha detto bene il dottor Dabic.
A Sarajevo non c´era festa come quando si vince la partita: quelle erano immagini di bocca buona. A Sarajevo si conosce la meschinità dell´uomo e l´enormità del male.
Tredici anni non bastano nemmeno a dare una patina di oblio al lutto e alla disperazione di 43 mesi, di mille e trecento notti. «La morte è un capomastro serbo», scrisse uno scrittore vero, Marko Vesovic, calcando Paul Celan. La morte mieteva all´ingrosso e al minuto sulla città assediata, affare di granate e di bombe d´aereo, migliaia in un giorno, o di cecchini divertiti dalla gara al bersaglio più ambito – i bambini, più piccoli, punteggio più alto. Tutti i giardini della città assediata erano diventati cimiteri, nei cimiteri i morti giovani sorpassavano i vecchi, i professori bruciavano i libri per scaldarsi un po´ e tutti facevano la fame e le signore badavano a indossare almeno una biancheria intima decorosa, prima di uscire, per il caso di essere colpite e soccorse.
In questi giorni Mihaela Secrieru, di ritorno dall´11 luglio di Srebrenica, dove ancora in decine di migliaia si sono radunate a ricordare e dare sepoltura ai corpi esumati dell´anno, mi ha mostrato una quantità di immagini della nuova vita di Sarajevo. Mi hanno colpito soprattutto le chiome degli alberi, dei pioppi cipressini che svettano in gara coi minareti di Bascarsija: che si fossero restaurati i minareti me lo aspettavo, che i pioppi avessero risuscitato le loro fronde verdi sui moncherini mutilati dalla pioggia di granate, questo mi ha commosso di più.
È troppo facile figurarsi che cosa sia successo dentro i corpi e le anime dei sarajevesi. "Festeggiato"? Certo, hanno salutato la cattura di Karadzic come un pezzo di ciò che è giusto, che deve essere, che doveva essere da tanto tempo. Ma quella notizia arrivata nella notte da Belgrado (notizia di riscatto per Belgrado) ha grattato via la leggera vernice di normalità, gran traffico d´auto, bentornato inquinamento, ragazze dalle gambe lunghe e dalle gonne corte, e malavita e droga da tempo di pace, la vita, insomma, e ha restituito alla memoria di ciascuno le notti di allora, le notti ubriache dei boia di Pale e le notti di coprifuoco senza luce né sonno della gente di sotto, ammazzata dentro le sue stesse case, umiliata nei suoi stessi sogni.
Quella gente ha visto per anni, mentre faceva la fame e tremava di freddo e seppelliva i suoi, lo psichiatra ciarlatano che si passava la mano nella cresta di capelli e la concedeva ai grandi della terra, ai presidenti dell´Europa (Mitterrand!), ai capi delle Nazioni Unite. E a Pale e a Ginevra i giornalisti e le telecamere facevano la coda per sentirlo: privilegio della modernità, al tempo del ghetto di Varsavia e di Auschwitz non era così facile andare a intervistare Eichmann e brindare con lui. Questo dilettante di tutto, della paranoia e della strage, adesso andrà all´Aja. Magari è libera la cella che toccò a Milosevic.
All´Aja è interdetta la pena di morte. Tutto il resto gli è dovuto.
martedì, luglio 22, 2008
lunedì, luglio 21, 2008
_breaking news: Karadžić arrested
il lancio di BetaNews è di qualche minuto fa, ne riporto la traduzione inglese offerta da B92:
Radovan Karadžić arrested
21 July 2008 | 23:30 | Source: Beta
BELGRADE -- Hague Tribunal's war crimes indictee Radovan Karadžić has been arrested, Beta news agency reports.
According to the agency, the announcement came this evening from Serbia's Council for National Security.
The raid was conducted by the Serbian security forces and the war-time leader of the Bosnian Serbs has been taken to a judge with the War Crimes Court in Belgrade.
However, the location and time of Karadžić's arrest, as well as other details remain unknown at this point.
giovedì, luglio 03, 2008
_balkan_scapes 2.0
lunedì, giugno 09, 2008
_ljubljana
sabato, giugno 07, 2008
_zagreb
giovedì, giugno 05, 2008
_"la ricostruiremo piu' bella e piu' vecchia di prima"
In effetti Dubro e' stata ricostruita - bella e "vecchia" come prima. I turisti affollano lo Stradun, la via principale duramente colpita dai mortai nel '91 e nel '93, come se niente fosse successo. Gli abitanti della citta' non so, sembra una di quelle citta' fatte solo per i turisti, e penso che sara' difficile trovare qui qualcuno con cui parlare dei tempi della guerra, anche perche' il tempo a mia disposizione e' troppo poco, parto domani.
Comunque, ironia della sorte, la profezia del comandante serbo (anche se non sono stati i miliziani serbi a ricostruirla, loro sono riusciti a portare a termine solo la prima parte del loro "piano"), sembra essersi avverata e della guerra nessuno sembra ricordarsi.
continuo a chiedermi: e se fosse meglio cosi'? i problemi in questi paesi sono sempre di due tipi: troppa memoria, o troppo poca memoria. e se ricostruire fosse un modo per perdonare, anche quando il perdono e' difficile?
_tante cose da scrivere e poco tempo per farlo
non c'e' stato il tempo di fare quello che volevo, dicevo, col blog, ma anche con la mia ricerca: ho parlato con tante persone ma avrei potuto conoscerne molte di piu', ho scattato un sacco di foto, ma non abbastanza e sicuramente non le migliori... e tutto per la mia innata tendenza a rimandare a domani quello che potrei fare oggi (a belgrado una ragazza, quasi come se mi conoscesse da sempre, mi ha regalato una spilla con su scritto in serbo proprio questa frase, che purtroppo mi ha accompagnato per tutti questi giorni...). ma non e' stata solo colpa mia, i balcani sono complessi, tanto, e poco piu' di due mesi non bastano a comprenderli, ad abbracciarli tutti, in senso fisico proprio...
mi sono fatto catturare dagli interminabili caffe' accompagnati da 500 sigarette, dalle tante, troppe forse, loza serali, dal cazzeggio dei sempre affollatissimi, a qualunque ora del giorno, bar balcanici (ma chi lavora qui, se stanno sempre tutti al bar?). ma non rimpiango il tempo cosi' "sprecato", le poche cose che ho imparato di questi posti in fondo le ho imparate tutte nelle kafane, nelle burekžinica, nelle panchine dei parchi...
ho una marea di appunti, di foto, di registrazioni e soprattutto di ricordi. e ricordi soprattutto di persone, non di luoghi. cosa che potrebbe sorprendere dato il tema della mia ricerca, che voleva interrogarsi sui luoghi e sui loro sensi. ma sono stati tanti piccoli sensi individuali a svelarmi altrettanti piccoli sensi di questi luoghi.
recuperero' al mio ritorno in italia, postando tutte le riflessioni che avrei dovuto scrivere "in diretta" e che appuntavo qua e la', in linguaggi e modalita' solo da me comprensibili, nei posti piu' improbabili. provero' a tenere in vita, cambiandone il progetto originario, questo blog, usando i pochi momenti in cui posso usare internet per postare piccoli aggiornamenti e segnalazioni.
ve ne do' subito una, ma non dovete ringraziare me, ma Maja, che mi ha fatto conoscere questo fotografo straordinario, Ron Hazin, che della guerra in ex-jugo ha saputo cogliere l'anima piu' profonda solo attraverso piccoli dettagli quotidiani, di una quotidianita' di guerra, a volte cosi' difficile da rappresentare o anche solo da immaginare...
infine, un saluto a cicciosax e a tutti gli amici di burekeaters: tenete duro, abbiamo bisogno di voi.
giovedì, maggio 29, 2008
domenica, maggio 25, 2008
_ilidza


sabato, maggio 24, 2008
_sarajevo città divisa


mercoledì, maggio 21, 2008
_piccola provocazione

lo so, sono vicende completamente diverse, ma l'enfasi che e' stata posta nel completamento della cattedrale, che e' diventata un po' il simbolo di Belgrado (e che possiamo ammirare in una splendida foto tratta da wikipedia, scusate ma non avevo tempo di ridimensionare le mie, lo faro'...), richiama un po' la retorica architettonica delle nuove moschee.
per riassumere un po' la tribolata vicenda di San Sava, l'attuale tempio sorge ove, nel '500, sorgeva una chiesa ortodossa distrutta durante l'invasione ottomana. i lavori iniziarono a fine '800, ma furono interrotti piu' volte a causa delle guerre balcaniche di inizio novecento e della seconda guerra mondiale. durante il periodo di Tito, ovviamente, tutte le proposte di riprendere i lavori furono lasciate cadere nel vuoto, e l'area, per molti anni, e' stata adibita a deposito/parcheggio. Dal 1989 i lavori sono reiniziati in pompa magna, tra cerimonie di consacrazione e messe varie.
_articolo sulle nuove moschee bosniache
_errata corrige
ebbene, non c'e' stato nessun finanziatore wahabita! oggi ho parlato con un funzionario dell'istituto per la protezione dei beni culturali del cantone sarajevo che mi ha spiegato come in realta' i lavori di restauro sono stati condotti da un team internazionale (con esperti anche italiani), che hanno optato per la scelta di un restauro di "ripristino" estremo.
sono in attesa di informazioni certe - perche' su questi restauri e' stato scritto di tutto e non e' del tutto chiaro come sono andate le cose - ma in ogni caso sembra che l'idea del primo intervento era quella di riportare l'opera ad un presunto "stato originario", rimuovendo i vari strati che si erano accumulati nei secoli. un po' quello che e' successo, ad esempio, per il restauro della cappella del santo sepolcro di santo stefano a bologna (cito questo esempio perche' ho studiato un po' i restauri di questa chiesa), nel corso del quale sono state rimosse tutti gli affreschi, decorazioni e offerte votive che riempivano la sala, riportandola a quello che si pensava fosse l'originario aspetto romanico. su quanto interventi del genere siano opportuni - sul fatto, ad esempio, che non esiste uno "strato" originario, sul fatto che ogni intervento di restauro e' sempre un'interpretazione e sul fatto che un buon intervento dovrebbe riuscire a preservare tutte le fasi storiche che consentono una buona "leggibilita'" dell'opera - non voglio soffermarmi in questa sede, voglio approfondire pero' i moventi culturali e ideologici che hanno portato a scegliere per un'opzione cosi' radicale di restauro. seguirano aggiornamenti...
martedì, maggio 20, 2008
_a proposito di croci e mezzelune


chi viene a Sarajevo in aereo non potra' fare a meno di notare, nel tragitto in taxi dall'aeroporto alla citta', un'enorme moschea, di stile moderno, che svetta sgomitando tra i palazzoni stile funzional-socialista di novo sarajevo. si tratta della moschea di Re Fahd, costruita nel 1997 con soldi provenienti dall'Arabia Saudita (vedi foto, la seconda non è mia).
proseguendo la sua corsa in taxi, il nostro visitatore incontrera' altri esempi di enormi moschee monumentali, gigantesche, poste su alture o su ampi slarghi, con due, tre, quattro minareti... quando raggiungera' il centro della citta', la baščaršia, il nostro visitatore straniero, i cui occhi si saranno gia' abituati a questi monumentali esempi di moschee di periferia, si aspettera' degli edifici religiosi altrettanto monumentali anche nel tessuto urbano della citta' storica.
ebbene, restera' deluso: le moschee della citta' storica, quelle piu' antiche, devono essere scovate, cercate con attenzione passeggiando per le strette stradine del quartiere ottomano. per trovarle bisogna sollevare la testa alla ricerca degli snelli ed eleganti minareti (mai piu' di uno per moschea) che ne segnalano la presenza, o aspettare il canto del muezzin (nelle moschee piu' antiche non si usa amplificarlo con altoparlanti, quindi bisogna stare molto attenti) per orientarsi nel dedalo di viuzze.
Le moschee tradizionali di Sarajevo sono cosi', discrete, senza sfarzi, si inseriscono mimetizzandosi tra le eterogenee architetture religiose della citta' (cattedrali cattoliche, chiese ortodosse, templi giudaici, chiese evangeliste). Discrete, come discreto e' il senso di appartenenza religiosa dei musulmani di Sarajevo, solitamente lontano da fanatismi e integralismi.
Dalla fine della guerra, in Bosnia sono state costruite centinaia di moschee, molte a Sarajevo. Da uan parte, l'alto numero di nuove costruzioni ha cercato di compensare le tantissime distruzioni (a Banja Luka pressocche' tutte le moschee sono state rase al suolo, ma lo stesso tragico destino, nel resto della Bosnia, e' toccato a chiese cattoliche e ortodosse e sinagoghe); dall'altra parte, il motivo di tante ricostruzioni risiede nei vari interessi relativi alle ricostruzioni post-belliche: interessi non solo economici ma anche, in questo caso, di "colonizzazione culturale": e' il caso di tanti paesi arabi che hanno finanziato la costruzione di nuove moschee, "infiltrando" imam provenienti dai quei paesi, e che predicano un islamismo radicale estraneo ai valori di questa citta'.
parlando di restauri, che dire del restauro, finanziato da alcuni religiosi sauditi, della moschea Gazi Husrev - costruita nel 1531 e considerata uno dei piu bei esempi di architettura ottomana del mondo - che, in ottemperanza ai dettami del wahabismo, ha spogliato gli interni della moschea di tutte le ricche decorazioni?
sabato, maggio 17, 2008
_una croce ortodossa sul monte trebevic?

venerdì, maggio 16, 2008
_ci citano!
mercoledì, maggio 14, 2008
_survival map

_il più bel monumento alle vittime della guerra

martedì, maggio 13, 2008
_alcune foto



_primo post da sarajevo (primo post vero...)


lo so, ultimamente ho latitato un po' troppo, ma non ho una connessione nella casa dove vivo (nella mahala di Pofalici) e devo sfruttare al massimo i pochi minuti al giorno in cui posso disporre di una connessione internet.

mercoledì, aprile 30, 2008
_sarajevo!

un aggiornamento velocissimo per segnalarvi che sono arrivato a sarajevo e sono in cerca di una connessione stabile per aggiornare il blog. provero ad essere piu regolare negli aggiornamenti, percio stay tuned!
venerdì, aprile 18, 2008
_memory lost?!

mercoledì, aprile 16, 2008
_i sensi delle rovine
martedì, aprile 08, 2008
_ancora generalstab
venerdì, marzo 28, 2008
_la torre della televisione del monte avala
giovedì, marzo 27, 2008
_segni di guerra
martedì, marzo 25, 2008
_ Jugoslovensko dramsko pozorsite
ho fatto alcune foto al teatro restaurato da Radojicic; progetto interessante che conserva la vecchia facciata liberty e la ricopre con pannelli in vetro retti da un impalcatura in acciaio dipinta di bianco. Ricorda un po' lo stile di bernard khoury, l'architetto libanese che ha progettato tanti importanti edifici di beirut; in particolare c'è qualche assonanza con il suo hotel-restaurant Central. Entrambi sembrano voler conservare e integrare nel risultato finale quelle strutture che sono proprie della fase di realizzazione del progetto (come le impalcature) o che servivano a mantenere stabile l'edificio prima dell'intervento di ristrutturazione. Un tentativo di rendere permanenti dei segni pensati per essere transitori che può nascondere finalità diverse: nel caso di Khoury l'intenzione era quella di rendere organici alla struttura dell'edificio i segni del suo passaggio attraverso le guerre (l'impalcatura del central a Beirut era stata approntata per impedirne il crollo in caso di bombardamenti); il senso dell'operazione fatta con questo teatro di Belgrado è in qualche modo simile? Proverò a chiederlo personalmente a Radojicic.

_primo post da belgrado
lunedì, marzo 03, 2008
_il nuovo vecchio ponte di mostar


